“Educare alla ricerca della verità esige uno sforzo di armonizzazione tra contenuti, abitudini e valutazioni: una trama che cresce e si condiziona allo stesso tempo, dando forma alla vita di ciascuno (…) non bastano le informazioni o le spiegazioni. Ciò che è meramente descrittivo o esplicativo non dice tutto e finisce per svanire. È necessario offrire, mostrare una sintesi vitale di essi. E questo può farlo solo il testimone (…) Sarà maestro chi potrà sostenere con la sua vita parole dette (…) allora tutto diventa interessante, attraente, e finalmente suonano le campane che risvegliano la ‘sana inquietudine’ nel cuore dei ragazzi”. (Jorge Maria Bergoglio Francesco, La bellezza salverà il mondo)
Vogliamo ragazzi “inquieti” nei desideri e nei propositi, persone “sensibili agli stimoli del mondo e della società”. Come i docenti possono formare “uomini e donne liberi nel cammino dell’esistenza, che non finiscano imbrigliati nelle mille e una forma del conformismo paralizzante, o prigionieri di predicatori di sistemi chiusi, unici, fondamentalisti?”
E allora: cosa serve tra i banchi di scuola per crescere davvero? Secondo recenti studi, essenzialmente anglosassoni, basti citare il premio Nobel per l’economia Heckman, oltre alle cosiddette abilità cognitive, conoscenze e competenze, occorre valorizzare i cosiddetti non cognitive skills o soft skills. Ossia i tratti che costituiscono la personalità umana, tra cui quegli aspetti legati al desiderio e alle dimensioni socio-emozionali.
L’American Society of Psichology li ha codificati in cinque grandi dimensioni (i Big Five): estroversione, amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura all’esperienza. Questi soft skills non sono qualità senza nesso tra loro ma manifestazioni particolari di un aspetto complessivo e fondamentale dell’uomo, la sua personalità. Occorre quindi riporre al centro della scuola un’idea più ampia di persona, comprensiva, appunto, delle dimensioni della personalità. Gli studi americani dimostrano inoltre che studenti così formati una volta usciti dal sistema scolastico sono in grado di contribuire positivamente alla crescita della società riducendo il rischio di criminalità giovanile, tossicodipendenza, obesità, comportamenti violenti, depressione (J.J.Heckman-T. Kautz, Formazione e valutazione del capitale umano, Il Mulino).
Educare una personalità non è una tecnica da far calare dall’alto e far applicare alle scuole. L’educazione e l’istruzione, come si evince dalle riflessioni di papa Francesco, sono piuttosto da annoverare nell’ambito delle attività umane imprevedibili perché nascono dall’incontro tra due umanità impegnate nella realtà, il docente che educa e testimonia il significato di ciò che insegna e l’alunno “inquieto” nella ricerca della verità. Ciò in ultima istanza rende l’educazione e l’istruzione un avvenimento.
Solo scuole libere, e la libertà non è certo quella che impedisce al cardinal Betori di incontrare le scuole statali (si legga l’articolo apparso su La Nazione di venerdì 17 febbraio a proposito di note scuole primarie e secondarie di I grado del Quartiere 2 di Firenze), possono favorire maggiormente esperienze educative alla base della formazione di vere personalità capaci di affrontare in modo costruttivo e sano la realtà.
E la scuola, per stare al passo con i tempi, deve tenerne conto e non perdersi dietro a ideologie o fondamentalismi.
Leggi qui il resto della newsletter
Condividi:
on Twitter
on Facebook
on Google+