Siamo immersi in un mondo nel quale crollano molte delle sicurezze sulle quali la società si poggiava un tempo. “Oggi non viviamo un’epoca di cambiamento, quanto un cambiamento d’epoca” ha detto Papa Francesco nell’incontro dello scorso novembre a Firenze con i rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa Italiana. Questo giudizio ci chiama a stare di fronte alla realtà con ancor più dignità e impegno, perché in ogni passaggio, in ogni “svolta” che la storia fa – che sia drammatico e dirompente oppure lineare e quasi impercettibile – è la persona, un io consapevole di sé e del proprio destino, che fa la differenza. Un io che senza paura si mette al lavoro, semplicemente, per costruire qualcosa di reale e positivo per il bene di tutti.
In questo contesto qual è quindi il compito della scuola se non contribuire alla formazione di questo io, di questa “persona” che sappia affrontare la realtà qualsiasi essa sia, cogliendone il positivo, costruendo la storia? Qual è il compito di un docente e di un educatore se non essere lui per primo testimone di questa positività mettendosi per primo veramente in gioco, facendo sì che i bambini e i ragazzi, che gli sono affidati per un tratto di strada, imparino e crescano nella totalità della loro umanità? Per questo la scuola non può essere solo il luogo della trasmissione dei saperi. Deve essere certamente un luogo di studio serio (e appassionato), ma lo scopo ultimo è l’autocoscienza dell’allievo. Attraverso le diverse materie di studio, i giochi, le proposte ludiche e didattiche, le uscite, le gite, le esperienze proposte il docente comunica in primo luogo la propria passione per la realtà, che passa attraverso quello che insegna – fosse la scoperta del sapore di un agrume a un bambino di tre anni o il dramma dei ragazzi del ’99 caduti durante la Grande Guerra ai ragazzi della scuola secondaria –. Solo guardando un uomo impegnato nella realtà l’apprendere può diventare un’esperienza di bellezza e interesse reale, pur nella fatica dello studio, che non è mai sterile e fine a se stesso.
Tutto questo – dentro un tentativo sempre correggibile e migliorabile – è quello che desideriamo avvenga sempre nelle nostre scuole.
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