Siamo a conclusione di un anno scolastico e, come di consueto, per gli studenti e le famiglie delle scuole primarie e secondarie, si aprono le riflessioni e i bilanci soprattutto in termini di valutazione. Per gli studenti del 3 anno della scuola secondaria di I grado e per il 5 dei licei a breve inizieranno gli esami che dovrebbero essere vissuti come un momento di libertà personale perché sono l’opportunità di far emergere sé e il proprio modo di vedere la realtà, descriverla e mettere a frutto un metodo critico e di giudizio. In quest’ottica l’esame è una grande occasione, non tanto e non solo per ottenere un esito (che a volte pare più interessare ai genitori che agli alunni) quanto per mettersi alla prova giocando la propria libertà e quindi il proprio io.
In ogni caso, esami o non esami, le aspettative, i desideri di un intero anno di lavoro sembrano condensarsi nei “voti” che a volte corrispondono, a volte deludono, comunque sono sempre tentativi di indicare un percorso non di misurare la propria “riuscita”.
La valutazione nelle nostre scuole non è la certificazione di una competenza: valutare un alunno non è esprimere un giudizio sulla persona ma su un segmento di lavoro. Pertanto lo scopo ultimo di una seria e attenta valutazione è nell’ottica di una valorizzazione per motivare e spingere maggiormente all’apprendimento, per imparare e conoscere, per crescere. Del resto valutare significa innanzitutto riconoscere un valore, affermare il valore dell’altro e quindi della realtà intera. La valutazione quindi coincide con l’educazione, cioè è la modalità del rapporto tra due esseri umani. Questo non vuol dire un generico “va bene” che elimina la fatica, impedisce la correzione reale, cioè, in ultima analisi, impedisce il cammino, ma non è nemmeno la durezza, la misurazione impietosa, l’applicazione delle regole (ad esempio il voto esito delle medie matematiche). C’è un modo di valutare che chiude l’alunno nel proprio limite invece di valorizzarlo, anche attraverso l’eventuale insuccesso, indicandogli la strada e fornendogli gli strumenti per conoscere.
Questa consapevolezza non deve essere condivisa solo dai docenti e dai loro alunni ma anche dalle famiglie: spesso sono proprio i genitori che sentono “giudicati” i propri figli, che rimangono delusi da una valutazione perché loro per primi concepiscono il voto come una certificazione di una competenza più o meno raggiunta. Invece nella sana dinamica del rapporto tra un docente e il proprio alunno non nasce il dubbio del “giudizio su di sé”, a volte è più chiaro per l’alunno il senso della propria valutazione, operata dal docente che stima e con il quale cresce nella conoscenza, che non per i propri genitori e spesso se nascono dubbi in un ragazzo questi sono generati dalla percezione che i genitori stessi hanno della valutazione.
Gli insegnanti sono chiamati a giudicare, ad esprimere un giudizio e la valutazione è il nome che nella scuola si dà a un atto di giudizio che è l’affermazione di un valore attraverso degli strumenti. Allora anche l’assegnazione di un debito nella scuola secondaria di II grado non è semplicemente il risultato di un esito, non è un fallimento ma uno “strumento” perché l’alunno faccia un passo in più, si apra maggiormente alla conoscenza e sia aiutato ad assumersi la responsabilità di uno studio attento e serio.
Il tema della valutazione potenzia una professionalità, perché tanto più un docente è capace, tiene a sé e al suo lavoro, tanto più affina gli strumenti e diventa più professionale, più creativo, più attento e preciso.
I docenti delle scuole primaria, secondaria di I e II grado della rete “Liberi di educare” lavorano da tempo sul tema della valutazione proprio perché la passione al lavoro muove al bisogno di affinare gli strumenti e renderli sempre più funzionali al proprio compito educativo.
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