Viviamo in un tempo strano. Spaventati da tutto, ci scopriamo fragili nella vita di tutti i giorni e
siamo sempre alla ricerca di qualcuno o qualcosa a cui addebitare la colpa delle nostre paure, delle
nostre incapacità, delle nostre insicurezze. E ciò accade anche nella quotidianità più semplice, dai
condomini alla scuola.
Tutto intorno congiura a rafforzare questo senso di difficoltà, arrivando a minare la fiducia nelle
persone e nella realtà, intesa come il luogo in cui scoprire il senso del proprio esserci, in cui
esercitare la propria creatività e scoprire il proprio compito.
Pare che tutto, regolamenti, leggi e norme, debba in qualche modo tutelarci e rispettarci,
difenderci dalle circostanze, che in fondo subiamo, e dalle persone.
In alcune scuole si è arrivati a indicare di non far scrivere elaborati ai ragazzi, i classici temi, su
argomenti personali e familiari perché lesivi della privacy. Quando in realtà la possibilità di scrivere
è dare forma e corpo alle idee, è fare spazio al proprio io, ai propri desideri; è esorcizzare la
propria paura, è iniziare a interrogarsi e ad aprirsi al mondo.
Paradossalmente, intanto su whatsapp adulti e ragazzi riempiono di parole canali spesso davvero
lesivi della persona: tutti possono dire tutto, senza guardarsi negli occhi, senza tener conto della
reazione dell’altro, senza pensare che le parole scritte restano e, in una vetrina virtuale e pazzesca,
sono alla portata di tutti e possono far male.
Da una parte un certo “buonismo” polveroso e urticante ci dice che la nostra privacy è sacra,
dall’altra un altrettanto urticante uso della “libertà” fa sì che tutto possa essere fatto, scritto e
detto.
Ma allora di chi, di cosa possiamo fidarci? E, soprattutto, siamo davvero liberi?
La libertà è una fatica, bella ed entusiasmante sicuramente, ma è una fatica. Perché la libertà è
scegliere di aderire a qualcosa che ci può soddisfare e questa scelta comporta impegnarsi per ciò
che vale: è un lavoro entusiasmante e faticoso, ma è questa fatica che dà gusto alla vita, che ci fa
sentire uomini e non come tanti pesci rossi dentro una palla di vetro, sicura e delimitata, ma piena
solo d’acqua.
“Nella boccia che sta in vetrina / anime in pena alla berlina, / i pesci rossi cozzan contro il vetro, /
scodinzolando avanti indietro” scrive il poeta Fiumi nella poesia I pesci rossi.
Cosa c’entra tutto questo con il nostro fare scuola? La scuola è istruzione, rapporto tra maestri e
discenti, tra genitori, tra operatori educativi e personale di pulizia o amministrativo: è una rete di
relazioni, non per niente si chiama comunità. Di più: noi la chiamiamo comunità educante. Si ha a
che fare con le persone. Si ha a che fare con fiducia e libertà.
Scriveva Edith Stein: “Col termine educazione intendiamo la formazione dell’essere umano nel suo
complesso, con tutte le sue forze e capacità. Cos’altro vogliamo raggiungere coll’educazione se
non che il giovane che ci è affidato divenga un essere umano vero e autenticamente se stesso?”
Accendere nei bambini e nei ragazzi la domanda, la curiosità, l’apertura al reale, destare nei
giovani il desiderio di conoscere senza paura. Aiutarli ad essere liberi nel vero senso della parola,
ad aver “fiducia” nella realtà fornendo loro gli strumenti per poterla davvero esercitare questa
fiducia e questa libertà e per discernere trattenendo il valore di ciò che incontrano.
È questa la vera sfida della scuola.
Ed è una sfida che ci accomuna tutti, che ci riguarda tutti nella fiducia reciproca.
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