“Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno
in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara
che l’inutilità.”
(C. Pavese, Lo steddazzu)
Durante quest’anno scolastico, spesso la sensazione che abbiamo provata è quella descritta da Pavese: giornate tutte uguali, determinate solo, o quasi, dalle norme anti Covid. Distanziamenti tra i banchi, mascherine, gel e in molte realtà situazioni di didattica a distanza. Oggi parlare di distanza o presenza è diventato una sorta di gergo nuovo e nella scuola la differenza tra le due opzioni è abissale. Nel maggio 2020 dicevamo di essere cresciuti nelle competenze digitali e tecnologiche, tanto abbiamo imparato e tanto ancora impareremo, ma certo non ci saremmo immaginati che avremmo ancora utilizzato questi mezzi e questi strumenti in modo significativo. Ci siamo talmente tanto abituati a questo tran tran che spesso tra i giovani studenti si è fatta strada, più o meno consapevolmente, l’amarezza di giorni “in cui nulla accadrà”. Ma non solo tra gli alunni, anche tra i docenti il rischio spesso è stato quello di lasciarsi vincere dalla fatica di una didattica in cui la relazione umana avviene attraverso uno schermo.
Se salta la relazione tutto è inutile, potremmo dire cercando di dare un nome all’inutilità di cui parla Pavese. La scuola infatti si gioca nella relazione, nel rapporto educativo tra docente e discente, è in una relazione che ha necessità di una fisicità. La scuola è una comunità educante: è fatta di rapporti e relazioni tra persone; tra alunni e docenti, tra alunni e compagni, tra insegnanti e colleghi, con le famiglie.
L’attività didattica è fatta anche di momenti diversi rispetto allo stare in classe, che è sicuramente importante ed è alla base del lavoro scolastico: chi è stato a lungo a casa se ne è reso conto! Ma non ci basta nemmeno essere in classe: vogliamo poterci muovere tra i banchi, uscire a scoprire la bellezza dell’arte o della natura, andare a teatro, partecipare a concorsi, a tornei sportivi, realizzare spettacoli, partecipare a viaggi-studio, fare gite…chiamiamole con il loro nome, gite appunto e non asettiche “uscite didattiche”! Momenti privilegiati nei quali l’attività didattica ed educativa va di pari passo con la relazione umana, con la convivenza e la condivisione.
Non abituiamoci ad un modo di stare a scuola che escluda tutto questo: siamo tornati, e non tutti e non allo stesso modo, a scuola, ma vogliamo la scuola tutta intera! Le nostre scuole hanno mantenuto un legame e una prossimità anche nei momenti più difficili e tutti i nostri educatori e i nostri docenti hanno fatto il possibile per mantenere vivo questo legame; per mantenere viva la passione per lo studio e la conoscenza, vero motore per la crescita umana e culturale di ognuno.
Tutti i docenti si sono reinventati, hanno reimpostato il loro lavoro facendo in modo che non mancasse niente del “bello” dello stare a scuola, un “bello”, ormai lo sappiamo bene, che passa dalle tante e varie attività svolte e che deve potersi comunicare anche quando le condizioni non consentono la libertà che sempre abbiamo vissuto.
Niente di quest’anno che si sta concludendo è per noi andato perso: è stato un anno di fatiche e difficoltà e forse anche di paure, ma è stato anche un anno nel quale abbiamo apprezzato ciò che dà valore al lavoro scolastico e che rende peculiari le nostre realtà educative. Perché non prevalgano la noia e l’inutilità, occorre andare all’essenziale del compito educativo che si esprime nel legame tra l’umanità del docente e del discente in un cammino di crescita vicendevole.