Tutti noi desideriamo la pace e ci vorremmo prodigare sempre più per fermare l’orrore di questa guerra che scombussola la nostra visione del futuro, che nega l’idea del progresso e dell’amicizia tra i popoli e che ci sembra anacronistica dopo aver scollinato il secolo dei conflitti, quello passato.
Dalla lotta al Covid, paragonato da tanti ad una sorta di guerra, siamo passati ad un conflitto reale fatto di bombe, esplosioni, morti e profughi e non ce lo saremmo mai immaginato.
E che questo accada in Europa, a due passi da noi, nel nostro mondo occidentale, benpensante e politicamente corretto, ci sconvolge ancora di più, anche perché ci immaginiamo che ne pagheremo a lungo le conseguenze: la guerra crea inimicizia e odio tra uomini che spesso si combattono senza neppure sapere perché. La guerra è sempre un’inutile strage.
«Abbiamo aderito con semplicità ai sentimenti di amore e di pace propri del Papa, riconoscendo con lui che essi non vengono dall’adesione a una condanna di quelli che vogliono la guerra, ma dall’impegnare tutte le energie a riattivare un’educazione che alleni al riconoscimento di un’ingiustizia annidata alle origini di tutte le decisioni umane – quello che nel nome di Cristo si chiama peccato originale». Così scriveva Monsignor Luigi Giussani sul Corriere della Sera nel 2003 parlando di un’altra guerra e citando un altro Papa, Giovanni Paolo II, ma queste parole sono vere anche oggi e anche oggi un Papa difende e proclama la pace.
Ma il desiderio della pace è fragile e lo è tanto di più se non diventa un compito, se non parte dalla realtà di tutti i giorni, se non investe le azioni che normalmente compiamo, se non nasce dal cuore, se non è educato a generare una responsabilità nel quotidiano, per costruire esperienze che assicurino ad ogni popolo, al nostro popolo, carità e giustizia.
Si è molto parlato, e si continua a parlare, delle ragioni politiche, delle cause, degli effetti che già vediamo e di quelli più a lungo termine, ma, come cristiani, il nostro sguardo è rivolto all’uomo: è fisso su di un popolo fatto di uomini, donne, bambini, anziani, tutti minacciati dall’incubo dei bombardamenti, costretti a lasciare le proprie case, a fuggire, a patire la sofferenza nella speranza che qualcuno possa accoglierli.
Scrive papa Francesco: «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato […] Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. […] Consideriamo la verità di queste vittime della violenza, guardiamo la realtà coi loro occhi e ascoltiamo i loro racconti col cuore aperto. Così potremo riconoscere l’abisso del male nel cuore della guerra e non ci turberà il fatto che ci trattino come ingenui perché abbiamo scelto la pace».
Adesso dobbiamo sperare e pregare che si giunga velocemente alla fine del conflitto, che la diplomazia si applichi per trovare la strada della pace.
Nel lungo termine, in realtà già da ora, occorrerà guardare con occhi diversi il nostro quotidiano, desiderare di essere educati a costruire una pace vera, non quella degli slogan e dello sdegno estemporaneo, ma quella che affonda le radici nella verità del cuore dell’uomo.