Ricordare nasconde nella propria etimologia la parola cuore. Per gli antichi, infatti, il cuore, e non la mente, era sede della memoria. E comunque oggi, pensando a San Cerbone, non mi viene in mente parola più adatta di “ricordare”, perché è proprio il cuore, l’anima, la giusta sede della memoria di un’esperienza come questa.
A San Cerbone, in un meraviglioso convento ricco di storia (i primi documenti che lo citano risalgono addirittura al IX sec.), la classe quinta della scuola primaria San Giuseppe e la classe prima della scuola secondaria di primo grado Don Bosco hanno trascorso due giornate di convivenza.
Obiettivo primario di questa iniziativa, che si ripete ogni anno, è quello di favorire una concreta continuità tra l’esperienza della scuola primaria e secondaria, con gli indubbi benefici che questo può contribuire a produrre in termini di sviluppo del Sé attraverso la costruzione di una narrazione coerente della propria storia personale.
I ragazzi, accompagnati dalle maestre della scuola San Giuseppe, sono stati coinvolti il 4 e 5 novembre in una serie di attività organizzate dai professori della scuola Don Bosco; in questa speciale occasione abbiamo tutti potuto sperimentare quanto una metodologia assolutamente ludica, ma ben curata e ponderata, possa costituire un’occasione di apprendimento qualitativamente significativa. Accanto a momenti strutturati, i ragazzi, accompagnati dal Preside e dal Vice Preside, hanno vissuto anche esperienze le più diverse, dalla suggestiva passeggiata nel bosco, al gioco aspettando la cena, fino alla condivisione gioiosa degli spazi personali e dei tempi dei pasti e del riposo.
Tutte queste attività hanno avuto un risvolto formativo altamente significativo, in quanto hanno permesso a questi giovanissimi di muovere dei primi passi in autonomia rispetto al contesto familiare, ma in un ambiente sicuro e attento ai bisogni di ciascuno.
Il nucleo tematico intorno al quale tutta l’esperienza è stata costruita è riassumibile in tre parole: bellezza, condivisione, sogno.
L’uomo in diverse fasi della sua storia ha fatto fatica a tenere insieme il suo essere profondo, manifestando la tendenza a polarizzare la trinità che lo caratterizza. Forse ancora oggi manteniamo questa tendenza: se ormai tutti siamo abbastanza consapevoli di quanto la qualità del cibo che ingeriamo influisca sul nostro benessere fisico, siamo generalmente meno consapevoli di quanto la qualità delle percezioni e degli affetti possano influire sul nostro benessere mentale e spirituale. E allora parlare di bellezza alle giovani menti è oggi più che mai fondamentale; insegnare ai più giovani che la bellezza di ciò che guardiamo, sentiamo, annusiamo, tocchiamo plasma la nostra percezione di noi stessi e degli altri è oggi un’urgenza educativa.
Ma chi si nutre di bellezza sa quanto non ci sia bisogno di spiegare che la bellezza è sterile se non viene condivisa: la costruzione della visione del mondo si fonda sì sulla qualità degli stimoli percettivi cui siamo esposti, ma è un processo socialmente condiviso, mai individuale. Allora quest’esperienza potrà dare molto frutto perché molto è stato condiviso, dalle risate, ai momenti di nostalgia di casa, al lavoro pratico che gli alunni si sono trovati ad affrontare in una dimensione sempre gruppale.
Infine il sogno. Perché l’uomo che non sogna ha perso la propria umanità. Perché se ti circondi di bellezza e di persone con cui riesci a condividerla, non puoi che formare bei pensieri, grandi pensieri. E i nostri ragazzi sono così pieni di sogni che potrebbero far tornare fertile qualunque adulto che solo provasse ad ascoltarli profondamente. E a noi adulti quale compito è affidato? Quello di concimare questi sogn con la bellezza e la condivisione profonda di emozioni…e poi aspettare fiduciosi di veder sbocciare tanti bellissimi fiori.