«Il reciproco amore tra chi apprende e chi insegna è il primo e più importante gradino verso la conoscenza»
(Erasmo da Rotterdam)
Nella scuola il docente, o in senso più ampio l’educatore, è il tramite attraverso il quale i “saperi” vengono trasmessi, ma il suo ruolo non può prescindere da una responsabilità e motivazione personali. Non si può “insegnare” senza desiderare che i propri alunni imparino e crescano nella loro umanità risvegliando in loro la gioia della creatività e della conoscenza; questa motivazione nell’adulto implica che ci si muova in tal senso.
La scuola non può essere solo il luogo della trasmissione dei saperi, anche se deve far crescere nei “saperi”, ma un luogo di studio sempre più consapevole il cui scopo ultimo è l’autocoscienza dell’allievo.
Infatti, attraverso l’insegnamento e il rigore scientifico delle discipline, lo scopo della scuola è la trasmissione dell’impegno che il docente stesso ha con la propria autocoscienza e con l’uso della propria ragione. La passione, poi, che trasmette per ciò che insegna e l’apertura alla realtà che lo circonda, declinati nella propria disciplina, sono il fondamento del rapporto educativo. E, alla fine, è questa passione che colpisce l’alunno.
“Educare alla ricerca della verità esige uno sforzo di armonizzazione tra contenuti, abitudini e valutazioni (…) Sarà maestro chi potrà sostenere con la sua vita parole dette (…) allora tutto diventa interessante, attraente, e finalmente suonano le campane che risvegliano la ‘sana inquietudine’ nel cuore dei ragazzi”. (Jorge Maria Bergoglio Francesco, La bellezza salverà il mondo)
Non è facile risvegliare “la sana inquietudine nel cuore dei ragazzi”; i ragazzi sono sì inquieti, ma oggi un’inquietudine non accolta o a cui non si danno risposte spesso diventa disagio esistenziale, ansia o, nei casi estremi, violenza. E lo vediamo!
Il docente dovrebbe introdurre l’allievo alla realtà in tutta la sua ampiezza, al mondo vero, non a quello descritto dai social, che di reale ha ben poco; dovrebbe aiutare a usare la ragione come apertura a tutto il reale, non spengerla adeguandola al pensiero “comune”.
L’educatore, attraverso gli strumenti che possiede, e a seconda delle diverse età dei bambini e degli alunni, dovrebbe sollecitare e sostenere l’autocoscienza di chi ha di fronte rendendolo “inquieto”.
Occorre anche un luogo guidato, operativo e di giudizio che, nell’unità, sostenga il docente nel suo lavoro; per questo esistono i collegi docenti e i consigli di classe. Non è scontato che siano luoghi di collegialità vera, di progettazione, di giudizio, di confronto reali; luoghi di un lavoro finalizzato al bene di ogni singolo studente e non luoghi di affermazione del proprio “progetto” e della propria idea sull’alunno.
Oggi è un valore aggiunto che ci sia un team di docenti ed educatori guidato; docenti che “vanno d’accordo” tra loro e si stimano nel riconoscimento di un compito che li accomuna.
Imparare può essere un’esperienza di bellezza e interesse.
I nostri giovani possono essere sostenuti e motivati al lavoro scolastico perché non abbandonino la scuola e lo studio.
La professionalità del docente può esplicarsi perché attraverso la sua esperienza e le sue conoscenze concorre alla formazione culturale e umana dell’alunno.
Un rapporto di fiducia con le famiglie, non finalizzato al controllo dei “voti” ma alla reale crescita umana e conoscitiva dei ragazzi, può essere instaurato.
Nelle scuole della rete “Liberidieducare” ci si mette in gioco perché tutto questo possa avvenire.