La compositrice e docente di musica Nadia Boulanger, considerata anche una grandissima insegnante, è ricordata per aver dato ai suoi studenti, nella sua lunga docenza, “la fiducia necessaria per diventare ciò che erano” (G. Steiner, La lezione dei maestri).
E’ indubbiamente questa un’affermazione potente. All’origine dell’atto didattico in sé dovrebbe esserci la consapevolezza che ogni docente è chiamato a far sì che i propri allievi abbiano la fiducia necessaria per andare a fondo del proprio io e diventare ciò che potenzialmente già sono, perché dotati di curiosità, stupore, domande, creatività e voglia di crescere.
Tutti sono potenzialmente dotati, quasi come un corredo genetico, di queste caratteristiche, ma spesso nel corso degli anni le perdono perché la società e la scuola non li aiutano a tirarle fuori e ad educarle.
I docenti, per vocazione, sono i cercatori della verità, della conoscenza e della chiarezza di giudizio.
E quindi il docente, in quanto educatore e non istruttore, vive il proprio compito educativo avendo a cuore che i propri alunni imparino e crescano risvegliando in loro la gioia della creatività e della conoscenza ed essendo disposto a farsi interrogare e ad accoglierli nella totalità della loro umanità.
Dante parlando del suo maestro Brunetto Latini scrive di avere nella mente “la cara e buona immagine paterna / di voi quando nel mondo ad ora ad ora / m’insegnavate come l’uom s’etterna”.
È un respiro grande pensare di “eternarsi”, parafrasando Dante, attraverso la conoscenza, lo studio, il sapere. Ed è un respiro che non riguarda solo le discipline che vengono insegnate, ma soprattutto cosa, attraverso le discipline, riempia il cuore e la ragione degli alunni, cosa li aiuti a scoprire sé e la realtà, ad andare a fondo della propria umanità e a renderla grande. In fondo, insegnare è toccare quanto di più vitale vi sia in un essere umano.
Ognuno di noi si ricorda almeno un “maestro” nella propria esperienza scolastica o universitaria e non se lo ricorda per quanti compiti desse, per quanto fosse severo o altro, ma se lo ricorda per la passione che aveva, per l’amore a ciò che insegnava e che testimoniava, per quanto tutto fosse permeato di quell’amore e quella passione, per come ti catturasse quando spiegava, per come ti facesse desiderare di leggere quel libro o imparare quella formula, altrimenti sterile, per quanto ti aiutasse a leggerti dentro, a farti le domande, a cercare le risposte e, infine, a conoscerti.
Erasmo da Rotterdam diceva che «il reciproco amore tra chi apprende e chi insegna è il primo e più importante gradino verso la conoscenza».
Quello che si impara veramente e profondamente non dipende solo dalla capacità che ognuno ha, ma dal metodo di chi insegna, dal fine che persegue e dall’ambiente che si crea.
Quanto più un ambiente scolastico favorisce la crescita della persona in tutte le sue dimensioni, nella serenità delle richieste, del lavoro e delle relazioni sociali, tanto più un alunno crescerà umanamente e sarà in grado di acquisire anche un grado di giudizio, di autocoscienza e, man mano che diventa più grande, sarà sostenuto nella verifica tra quanto impara e sé.
Attraverso l’insegnamento e il rigore scientifico delle discipline, il docente trasmette l’impegno che ha con la propria autocoscienza, con l’uso della propria ragione e la passione che nutre per ciò che fa e insegna. E’ questa passione, potremmo osare dicendo “questo amore”, che il docente ha nei confronti della realtà che lo circonda, declinato nella propria disciplina, il fondamento del rapporto educativo. E, alla fine, è questa passione, come accaduto anche a noi, almeno qualche volta nella vita, che colpisce l’alunno.
Il docente introduce l’allievo alla realtà in tutta la sua ampiezza e lo fa attraverso gli strumenti che possiede, sollecitando e sostenendo l’autocoscienza dell’alunno.
Solo così imparare diventa un’esperienza di bellezza e interesse reale, pur nella fatica dello studio che non è mai sterile e fine a se stesso.
Solo così si possono sostenere i nostri giovani nella fatica del crescere.
Il docente, attraverso la sua esperienza e il suo sapere, concorre alla formazione culturale e umana dell’alunno e, in quest’ottica, si può instaurare un rapporto di fiducia con le famiglie non finalizzato al controllo dei “voti” ma alla reale crescita conoscitiva e umana dei ragazzi.
Per questo la scuola non può essere solo il luogo della trasmissione dei saperi, anche se deve far crescere nei “saperi”. Deve essere un luogo di studio serio e sempre più consapevole, ma un luogo sereno, amicale, non competitivo che persegua la crescita dell’autocoscienza dell’allievo e della conoscenza.