Andrea Ambrosino è un giovane ma ormai affermato autore fiorentino. A lui dobbiamo, con gratitudine, il libro, pubblicato da SEF, che i bambini delle scuole dell’infanzia della rete Liberi di Educare utilizzano questo anno scolastico come storia che collega quasi tutte le attività, i laboratori e le iniziative che si svolgono con i compagni e le insegnanti. È uno dei modi che sono stati scelti nelle nostre scuole per offrire ai nostri bambini una storia personalizzata e far capire loro che esiste un grande disegno dietro ad ogni evento. Abbiamo rivolto ad Andrea alcune domande.
Qual è il cuore, il messaggio di questo libro?
Amicizia e condivisione. Queste sono le chiavi del libro. C’è una frase che faccio dire in modo corale ai protagonisti e cioè: “è bello condividere i giochi”. Lo stare insieme. Il poter mettere sé stessi nel rapporto con gli altri. Sono tutti elementi che cerco di trasmettere in questa avventura. Non a caso ho voluto caratterizzare i personaggi in modo profondamente eterogeneo, non solo nell’aspetto fisico ma anche nei “poteri”, che per i bambini alla fine sono quelli che noi adulti potremmo chiamare talenti. In questo modo voglio far vedere che non c’è uno migliore degli altri, ma che ciascuno ha un suo posto. E proprio la diversità dei personaggi può consentire a ciascun bambino di identificarsi ora in Ardimentosa o in Ernesto Lesto oppure in Ombroso.
Come hai scelto l’argomento di questo libro?
Come per gli altri libri alla fine mi sono limitato a guardare quello che avrei voluto dire io a mio figlio. Inoltre avevo compreso che questo aspetto del “mio” sui giochi e il voler in tutti modo essere quello che fa qualcosa quando si gioca con gli altri, non era solo un qualcosa che avvertivo io, ma mi veniva riportato anche dagli altri genitori e dalle stesse maestre. Una volta intuito quello che volevo trasmettere, non ho fatto altro che cercare il modo giusto per comunicarlo ai bambini. I Tre Uragani nascono così e prendono forma grazie all’esperienza che in questi anni mi sono fatto stando dietro ai libri e ai programmi televisivi di mio figlio, oltre sicuramente ad una buona dose delle mie passioni (ovvero in questo caso fumetti e Dungeons & Dragons).
Cosa significa per te scrivere sapendo che le tue parole arrivano a dei bambini? In che modo di condiziona, sia stilisticamente che umanamente?
Quando si parla di libri per bambini so benissimo che quello che scrivo sarà prima letto dai genitori e dalle maestre. Solo dopo dai bambini. Nel mio piccolo quando scrivo un libro sento di avere una grande responsabilità educativa. Questo significa non solo avere in testa il messaggio da dare, ma anche trovare l’idea narrativa e le parole adeguate per parlare tanto ai bambini quanto agli adulti. Quando vado a trovare le classi che adottano i miei libri, mi viene spesso chiesto se è più difficile scrivere libri per bambini o per adulti. Di solito a questa domanda rispondo sempre in questo modo: “bambini considerate che il primo libro che ho scritto, Vento Canale (Edizioni della Meridiana, 2014), un racconto giallo per adulti, l’ho scritto in una settimana. Per scrivere il libro che avete in mano voi, che è molto più piccolo, ho impiegato diversi mesi”.
Ti sei reso disponibile a incontrare i bambini in diverse occasioni. Ci racconti un episodio, che ti ha particolarmente colpito, avvenuto in uno di questi incontri?
Ce ne sono moltissimi, alcuni commoventi e altri divertenti. Per non fare torto a nessuno direi che racconto un episodio che è successo proprio la prima volta che incontravo dei bambini. È stato mi quattro anni fa, ed era appena uscito Il Sogno dell’Eroe, la cui storia è ambientata durante la guerra di Troia. Mi ricordo benissimo che quando i ragazzi mi videro, mi assalirono di domande, era un continuo, domanda risposta, domanda risposta… Ad un certo punto una bambina alza la mano e mi chiede “ma tu quanti anni hai?”, e io dissi “trentacinque anni, oramai sono grandicello”. Mi ricordo ancora che questa bambina, si fermò un attimo, alzò i suoi due occhi azzurri come per pensare e dopo un paio di secondi mi chiese pensosa: “Quindi tu eri presente durante la Guerra di Troia?”. Non lo dimenticherò mai.