Mercoledì 20 aprile, rientrati dalle vacanze di Pasqua, nella scuola dell’infanzia, della primaria e della secondaria di I grado dell’Istituto San Giuseppe di Firenze sono arrivati sette bambini/e e ragazzi/e provenienti dall’Ucraina.
E’ stata una sorpresa che ci ha molto interrogato: tutti siamo mossi da un desiderio di accoglienza e aiuto, ma il rischio è di far prevalere il nostro bisogno di far del “bene”, una sorta di buonismo alla fine sterile, non tenendo conto di chi realmente abbiamo di fronte, persone che, quantomeno spaesate, giustamente vogliono tornare al più presto nel loro Paese e nelle loro case.
I bambini e i ragazzi sono stati sicuramente più semplici e immediati di fronte ai nuovi arrivi.
Non appena abbiamo annunciato ai ragazzi più grandi che avremmo accolto alcuni loro coetanei ucraini, i nostri alunni hanno mostrato stupore ed un grande desiderio di accoglienza; così, subito, sono nate anche tante domande su come avrebbero potuto comunicare con loro, quanto sarebbero rimasti, quali libri avrebbero avuto, quanto avrebbero condiviso nelle ore insieme a scuola.
I ragazzi, consapevoli della tragedia della guerra, si sono mostrati desiderosi di coinvolgerli nelle dinamiche di classe e sono stati felici dell’arrivo di Anastasiia, la mediatrice culturale che ha permesso loro di superare la barriera della lingua e, quindi, di comunicare con i loro compagni ucraini. La collaborazione con Anastasiia è fondamentale anche per noi professori: con lei organizziamo le mattinate di lavoro con i ragazzi, provando a offrire strumenti che li aiutino e permettano loro di coltivare la voglia che hanno di imparare piccoli accenni di italiano per comunicare con noi e con gli altri ragazzi.
Il giorno in cui un bambino ucraino è entrato nella scuola dell’infanzia l’apprensione iniziale che avevamo nei suoi confronti è presto svanita: dal momento in cui ha varcato la soglia della scuola, esplorato i nuovi ambienti e incontrato i suoi futuri amici, i suoi occhi si sono illuminati e le sue espressioni di gioia sono diventate il mezzo, tutt’ora preferenziale, per esprimersi all’interno della nuova realtà. Ha dunque avuto anche lui la possibilità di far parte di uno spazio tutto da esplorare, un piccolo mondo a misura di bambino nel quale i suoi nuovi compagni lo hanno accolto come se fosse con loro da sempre. Tutti i bambini hanno presto colto l’occasione di raccontare in modo semplice, attraverso i loro gesti, le esperienze vissute all’interno della loro scuola rendendolo parte di essa in modo naturale.
Due classi di scuola primaria ospitano tre bambine; l’aiuto di un’altra mediatrice culturale, Olga, è fondamentale per aiutarle ad inserirsi, a comunicare e insegnar loro l’italiano. Impariamo insieme e reciprocamente: la bambina che abbiamo accolto in quarta è molto brava nell’uso delle tecnologie, anzi ci ha insegnato come tradurre i Power Point in qualunque lingua con Ipad e come usare altri programmi di varia utilità. La musica è un forte collante con le amiche della classe così come l’arte e il gioco. Ha carattere e tanta voglia di imparare; ogni tanto guarda fuori della finestra e sogna di tornare alla normalità.
Come ha detto Papa Francesco in una sua omelia, «i bambini sono un segno. Segno di speranza, segno di vita, ma anche segno ‘diagnostico’ per capire lo stato di salute di una famiglia, di una società, del mondo intero».
La guerra dà origine a conflitti e insensate inimicizie tra gli uomini, ma questo non è ciò che accade tra i banchi di scuola.
Parlare di guerra a bambini, bambine o ragazzi e ragazze molto giovani significa anzitutto educarli ad un desiderio vero di pace, desiderio radicato nel cuore dell’uomo e nello sguardo di ragazzi che, con entusiasmo, condividono la loro realtà quotidiana.
Camilla Ceccatelli
Catia Giaccherini
Chiara Sarno