Viviamo in un momento post pandemia nel quale emergono forti disagi e fragilità su bambini e ragazzi, a seguito dell’isolamento sociale e, nel campo della scuola, della didattica a distanza. Sono sempre più presenti forme di fobia scolare, ansia, disturbi alimentari, dispersione scolastica.
La scuola è il luogo della trasmissione dei saperi, ma è un luogo comunitario che, attraverso la relazione tra pari e con i docenti, dovrebbe anche far crescere la persona nei “saperi”, perché lo scopo ultimo è diventare uomini e donne.
Deve essere, sì, un luogo di studio serio e sempre più consapevole, ma deve avere nell’orizzonte, come scopo chiaro, la crescita nella conoscenza in un rapporto di “affezione”.
Il docente, o in senso più ampio l’educatore, è il tramite attraverso il quale i “saperi” vengono trasmessi, ma il suo ruolo non può prescindere dal tener presente chi ha di fronte, l’umanità di chi ha di fronte e il desiderio di bene che i propri alunni hanno. Tutto questo dentro una responsabilità personale e una motivazione forte perché insegnare non è un lavoro come un altro.
Non si può “insegnare” senza desiderare, e quindi senza muoversi in questo senso, che i propri alunni imparino e crescano nella totalità della loro umanità, a partire anche dalle loro fragilità, domande, attese o ferite.
Non si può “insegnare” senza voler risvegliare nei propri alunni la gioia della creatività e della conoscenza, aiutando a capire che tutto il proprio vissuto è una risorsa per sé e per gli altri e non un limite o un ostacolo.
Erasmo da Rotterdam diceva che
il reciproco amore tra chi apprende e chi insegna è il primo e più importante gradino verso la conoscenza.
Attraverso l’insegnamento e il rigore scientifico delle discipline, lo scopo della scuola è la trasmissione dell’impegno che il docente stesso ha con l’uso della propria ragione e dell’amore che nutre per ciò che fa e insegna.
E’ questa passione, questo amore, che il docente ha nei confronti della realtà che lo circonda, declinato nella propria disciplina, il fondamento del rapporto educativo. E, alla fine, è questa passione che colpisce l’alunno e che lo sostiene nel cammino della conoscenza.
Educare alla ricerca della verità esige uno sforzo di armonizzazione tra contenuti, abitudini e valutazioni: una trama che cresce e si condiziona allo stesso tempo, dando forma alla vita di ciascuno (…) non bastano le informazioni o le spiegazioni. Ciò che è meramente descrittivo o esplicativo non dice tutto e finisce per svanire. E’ necessario offrire, mostrare una sintesi vitale di essi. (…) Sarà maestro chi potrà sostenere con la sua vita parole dette (…) allora tutto diventa interessante, attraente, e finalmente suonano le campane che risvegliano la ‘sana inquietudine’ nel cuore dei ragazzi.
(Jorge Maria Bergoglio Francesco, La bellezza salverà il mondo)
Il docente dovrebbe quindi introdurre l’allievo alla realtà in tutta la sua ampiezza, al mondo vero, non a quello ripetutamente richiamato dai media che di reale ha ben poco, non alla schiavitù del pensiero “comune”, attraverso gli strumenti che possiede, sollecitando e sostenendo l’autocoscienza dell’alunno e rendendolo “inquieto”.
Solo così imparare diventa un’esperienza di bellezza e interesse reale, pur nella fatica dello studio che non è mai sterile e fine a se stesso.
Solo così si possono sostenere i nostri giovani e far sì che siano motivati al lavoro scolastico, che imparino uno sguardo di positività sulla realtà, di stima e di accettazione di sé.
Solo così si esplica la professionalità del docente perché attraverso la sua esperienza, il suo studio, il suo aggiornamento concorre alla formazione culturale e umana dell’alunno e non è in balia di un valzer di opinioni, oggi tanto di moda.
Ed è in quest’ottica che va scelta e valutata la scuola, oggi più che mai!